Partito dei Giovani (P.d.G.)

Finalmente è nata una forza giovane che vuole rinnovare il paese e sostituire l'attuale gerontocrazia che soffoca l'Italia.

Vday

venerdì 21 settembre 2007

LA SCOMPARSA DEI FATTI


«I fatti separati dalle opinioni». Era il motto del mitico Panorama di Lamberto Sechi, inventore di grandi giornali e grandi giornalisti. Poi, col tempo, quel motto è caduto in prescrizione, soppiantato da un altro decisamente più pratico: «Niente fatti, solo opinioni». I primi non devono disturbare le seconde. Senza fatti, si può sostenere tutto e il contrario di tutto. Con i fatti, no.
C’è chi nasconde i fatti perché non li conosce, è ignorante, impreparato, sciatto e non ha voglia di studiare, di informarsi, di aggiornarsi. C’è chi nasconde i fatti perché trovare le notizie costa fatica e si rischia persino di sudare. C’è chi nasconde i fatti perché non vuole rogne e tira a campare galleggiando, barcamenandosi, slalomando. C’è chi nasconde i fatti perché ha paura delle querele, delle cause civili, delle richieste di risarcimento miliardarie, che mettono a rischio lo stipendio e attirano i fulmini dell’editore stufo di pagare gli avvocati per qualche rompicoglioni in redazione. C’è chi nasconde i fatti perché si sente embedded, fa il tifo per un partito o una coalizione, non vuole disturbare il manovratore. C’è chi nasconde i fatti perché se no lo attaccano e lui vuole vivere in pace. C’è chi nasconde i fatti perché altrimenti non lo invitano più in certi salotti, dove s’incontrano sempre leader di destra e leader di sinistra, controllori e controllati, guardie e ladri, puttane e cardinali, prìncipi e rivoluzionari, fascisti ed ex lottatori continui, dove tutti sono amici di tutti ed è meglio non scontentare nessuno. C’è chi nasconde i fatti perché confonde l’equidistanza con l’equivicinanza. C’è chi nasconde i fatti perché contraddicono la linea del giornale. C’è chi nasconde i fatti perché l’editore preferisce così. C’è chi nasconde i fatti perché aspetta la promozione. C’è chi nasconde i fatti perché fra poco ci sono le elezioni. C’è chi nasconde i fatti perché quelli che li raccontano se la passano male. C’è chi nasconde i fatti perché certe cose non si possono dire. C’è chi nasconde i fatti perché «hai visto che fine han fatto Biagi e Santoro». C’è chi nasconde i fatti perché è politicamente scorretto affondare le mani nella melma, si rischia di spettinarsi e di guastarsi l’abbronzatura, molto meglio attenersi al politically correct. C’è chi nasconde i fatti perché altrimenti diventa inaffidabile e incontrollabile e non lo invitano più in televisione. C’è chi nasconde i fatti perché fa più fine così: si passa per anticonformisti, si viene citati, si crea il «dibbattito». C’è chi nasconde i fatti anche a se stesso, perché ha paura di dover cambiare opinione. C’è chi nasconde i fatti perché altrimenti poi la gente capisce tutto. C’è chi nasconde i fatti perché è nato servo e, come diceva Victor Hugo, «c’è gente che pagherebbe per vendersi».
Così inizia “La Scomparsa dei fatti”, l’ultimo libro del giornalista Marco Travaglio (biografia), edito da Il Saggiatore che denuncia lo stato dell’informazione in Italia, classificato da numerose istituzioni internazionali come solo “parzialmente libera”: ad esempio, nel suo rapporto del 2006, l’autorevole organizzazione no-profit francese Reporters sans frontiers (il sito), che da 18 anni si occupa di difendere la libertà di stampa e i giornalisti imprigionati, discriminati, licenziati solo per aver fatto il loro lavoro, ha collocato l’Italia al 40esimo posto (su 167), dietro Panama (se ci può consolare gli USA sono al 53° posto), mentre l’organizzazione non governativa americana Freedom House (il sito), fondata più di 60 anni fa da Eleanor Roosevelt per difendere la libertà d’informazione, la colloca al 79esimo posto (su 194) dietro il Botswana, ultima tra le nazioni dell’Europa Occidentale).
Travaglio, con la sola forza della verità di fatti incontrovertibili e documentati, smaschera quattordici anni di notizie deviate, asservite, gonfiate, inventate, insabbiate, diffuse da televisione e carta stampata, sfatando anche falsi miti che diffusi quotidianamente (ed ignobilmente) e per lungo tempo ad arte, si sono radicati come veri nel ricordo di una parte dell’opinione pubblica.
Molte vicende del passato, una volta chiare e precise, finite nel dimenticatoio del vuoto disinformativo o diventate incerte nel ricordo a causa della manipolazione, ritornano alla memoria in tutta la loro gravità che non lascia spazio ad interpretazioni di comodo.
Il libro fornisce un valido antidoto all’assuefazione in cui sono stati risucchiati, giorno dopo giorno, gli italiani sotto questa massiccia e continua campagna di disinformazione e rimozione della verità che ha fatto leva, purtroppo, sul vizio italico della memoria storica breve (ed a convenienza) e su un livello culturale medio in caduta libera.
Più di una generazione di italiani considera telegiornali dei “programmi” la cui scaletta è imbottita di polemiche speciose, di opinioni variegate, di gossip e di notizie di “colore”, il tutto per potere ignorare del tutto, o ridurre a brevi cenni, le notizie gravi e scandalose del giorno, specialmente su processi, sentenze ed affini.
Un’informazione televisiva completamente asservita alla politica ed, addirittura, censoria come ha nuovamente dimostrato l’assordante e vergognoso muro silenzio iniziale, quasi generale, nei confronti del V-DAY.
Travaglio (non a caso ospite sul palco a Bologna) che si definisce “un liberale che ha trovato asilo politico a sinistra” ha le spalle larghe e non teme nessuno, fa nomi e cognomi, è diretto ed esplicito, descrive puntualmente i fatti con un sarcasmo ed una graffiante ironia che schiantano senza appello i personaggi coinvolti, soprattutto politici e giornalisti.
Un capitolo è dedicato, tra l’altro, all’Ordine dei giornalisti ed alle blandissime sanzioni adottate nei confronti di “giornalisti” macchiatisi di comportamenti gravissimi sul piano morale e deontologico che, in un paese serio, sarebbero stati radiati e, comunque, avrebbero perso ogni sorta di credibilità da parte dell’opinione pubblica.
La lettura del libro lascia una doppia sensazione, amaramente contrastante: da un lato la felicità per la pienezza della conoscenza, dall’altro la rabbia per questa terribile situazione che attanaglia l’Italia nella quale, la denuncia di fatti di estrema gravità per la vita democratica di un paese, spesso non sortisce alcun effetto.
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