Partito dei Giovani (P.d.G.)

Finalmente è nata una forza giovane che vuole rinnovare il paese e sostituire l'attuale gerontocrazia che soffoca l'Italia.

Vday

giovedì 31 gennaio 2008

LA REPUBBLICA DELLA BANANE


Il governo Prodi è caduto durante un'indegna seduta al Senato condita da sputi, bottiglie di champagne e fette di mortadella. Un epilogo inevitabile vista la maggioranza variegata sulla quale si reggeva. Pur di battere Berlusconi e C., Romano Prodi aveva capeggiato una coalizione con dentro di tutto (e di più!) che andava dal marxista-rivoluzionario Turigliatto (biografia) al ceppalonico Mastella (biografia), dal comunista Diliberto (biografia) al liberal-democratico Dini (biografia)…
Un’armata Brancaleone in disaccordo su tutto tranne che sull’anti berlusconismo e sulla brama di potere e poltrone.
La Sinistra dei “puri” della politica si è tirata dentro e legittimato, pur di vincere, personaggi banderuola la cui storia politica di trasformismo avrebbe dovuto mettere in guardia!
La Sinistra moderata e di governo si è ostinata a non voler capire che i punti di disaccordo con la Sinistra massimalista sono oramai pesanti come macigni e rendono impossibile la convivenza dentro la stessa maggioranza.
Su queste basi si è consegnato all’Italia un governo che non poteva governare perché bloccato ogni volta dai diktat o dai veti incrociati di qualche generale senza esercito…
Il testardo e poco lungimirante Prodi, pur di sedersi sulla poltrona di premier, ha ignorato il fatto che al Senato il centrosinistra aveva perso le elezioni e non aveva maggioranza politica.
Non ne ha voluto prendere atto, tirando dritto e rifiutando la proposta di Berlusconi di dar vita ad un governo di larghe intese per fare quelle riforme (in primis una nuova legge elettorale che assicuri una maggiore governabilità) delle quali il Paese ha estremo bisogno.
Ora la situazione è davvero compromessa.
Il Partito Democratico è in piena fase di costruzione organizzativa ed, ovviamente, il suo segretario Walter Veltroni, “l’uomo dei voltafaccia”, non vuole le elezioni, anche perché vorrebbe concorrere da solo e l’attuale legge elettorale è un handicap a causa della eccessiva frammentazione partitica a sinistra.
Il Centrodestra, fiutando l’odore del potere e delle poltrone, si è ricompattato istantaneamente attorno a Berlusconi che chiede a gran voce il il ritorno alle urne (Gdm): clamorose le retromarce dell’udicciota Pierferdy Casini (la Stampa) e dell’alleanzino Gianfranchino Fini (il Giornale), rientrati nei ranghi dopo gli strappi dei mesi scorsi ed ora tutti solidali col il loro leader.
Berlusconi, vittima (a suo dire) del Ribaltone del 1994 col tradimento di Dini, in verità è l’unico a mantenere una certa coerenza che ovviamente gli fa grande convenienza in questo momento politico: le elezioni, secondo tutti i sondaggi, vedrebbero, infatti, una vittoria larga del Centrodestra.
Nel frattempo l’ottuogenario presidente Giorgio Napolitano ha affidato al presidente del Senato Franco Marini l’arduo incarico di cercare una maggioranza istituzionale al Senato e formare un governo a tempo che faccia almeno la riforma della legge elettorale (QN).
In soccorso di Marini arriva la Rosa Bianca (Panorama) dei “Tabaccini” che si sono messi in testa di ricreare un partito di centro stile DC al fine di rompere l’attuale “bipolarismo muscolare”.
Anche Massimo D’Alema scende in campo proponendo il referendum elettorale ad aprile se Marini non ce la facesse (Corsera).
In Italia non si sa mai di preciso come si evolva il quadro politico, certo è che Marini avrà non poche difficoltà a trovare un numero di senatori sufficiente a garantirsi la fiducia.
Il governo Prodi avrebbe potuto in questi due anni provare a cambiare la legge elettorale riducendo anche l’esoso numero di parlamentari, avrebbe potuto approvare una seria legge sul conflitto d’interesse, avrebbe potuto approvare una nuova legge sulle comunicazioni assegnando ad EUROPA 7 le frequenze che RETE 4 occupa abusivamente da anni, avrebbe potuto riformare la Legge Maroni sul lavoro riducendo la precarietà, avrebbe potuto risolvere una volta per tutte la vicenda del carrozzone ALITALIA ed, invece, si è distinto solamente per il vergognoso Indulto ed ha smaronato per mesi gli italiani con polemiche accesissime su questioni tipo DICO o legge sull’Aborto.
Due anni di governo che il P.d.G. reputa fallimentari (ad eccezione delle piccole liberalizzazioni del Ministro Bersani) e che si spera convincano Prodi a ritirarsi definitivamente dalla politica.

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giovedì 24 gennaio 2008

A CASA TOTO' VASA VASA


La segreteria del P.d.G. ritiene importante diffondere tra i propri simpatizzanti la lettera che l'on. Antonio Di Pietro, ministro delle Infrastrutture, ha inviato al premier (non si ancora per quanto) Romano Prodi, affinchè eserciti i poteri a lui riconosciuti dall'ordinamento e sospenda di diritto dal suo incarico il governatore della Sicilia Salvatore Cuffaro, condannato pochi giorni fa, in primo grado, a cinque anni di reclusione e interdizione perpetua dai pubblici uffici per favoreggiamento e rivelazione di segreto d'ufficio a personaggi affiliati con la Mafia.
Di seguito il testo integrale della lettera.

"Al Presidente del Consiglio dei Ministri On.le Prof. Romano PRODI
Come Ti è noto, il 18 gennaio scorso il Tribunale di Palermo ha pronunciato sentenza di condanna per favoreggiamento e rivelazione di segreto nei confronti del Presidente della Regione siciliana.
I fatti addebitati al Presidente Cuffaro ed accertati dal Tribunale con la sentenza di primo grado, emergono nella loro estrema gravità, non solo per come attestato dalla pesante pena irrogata (cinque anni di reclusione e interdizione perpetua dai pubblici uffici), ma soprattutto in quanto si tratta di comportamenti di favoreggiamento e rivelazione di segreto d’ufficio su indagini riguardanti affiliati mafiosi.

Al riguardo mi preme sottolineare due considerazioni.
In primo luogo, la condivisione sulle modalità per intervenire sulla vicenda, facendo puntuale applicazione di quanto già l’ordinamento vigente impone. Infatti, al riguardo, l’articolo 15, comma 4-bis della legge 19 marzo 1990, n. 55, prevede la sospensione di diritto, anche in caso di condanna non definitiva...
Come è noto, il percorso istituzionale prevede che il Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti il Ministro per gli affari regionali e il Ministro dell’interno, adotta il provvedimento che accerta la sospensione.
Tale esito discende, per fatti di gravità acclarati, dall’esigenza di garantire la tutela dell’interesse pubblico, leso dalla permanenza in carica e dallo svolgimento delle relative funzioni istituzionali da un soggetto rispetto al quale è stato accertato il venir meno di un requisito essenziale per continuare a ricoprire un ufficio pubblico elettivo. Ma, soprattutto, mi preme mettere in evidenza una seconda considerazione.
Come Ministro della Repubblica, e soprattutto come cittadino, sono sconcertato dalla reazione che ha caratterizzato il comportamento del Presidente della Regione Sicilia rispetto alla sentenza che lo ha condannato e che, a chiunque abbia dignità e rispetto verso le istituzioni, avrebbe dovuto suggerire soltanto di prendere la decisione di dimettersi...
Ritengo che il Governo non possa rimanere inerte rispetto alla vicenda in questione e che sia indispensabile l’adozione di misure concrete, in conformità a quanto previsto dall’ordinamento, volte ad assicurare il primato della legge ed il pieno rispetto del principio di legalità, restituendo, in tal modo, credibilità ed autorevolezza alle istituzioni dello Stato...
Si tratta di un adempimento doveroso, per il rispetto che tutti dobbiamo alle istituzioni e alla legge. Ma, ancora prima, per il debito morale che ancora dobbiamo saldare con le tante, troppe vittime della mafia e con i loro congiunti...
Mai come in questa vicenda l’esigenza di fare, e far presto, costituisce la doverosa forma di adempimento della legge che deve distinguere una classe dirigente degna di questo appellativo da una solo ipocrita e meschina. Sono convinto che non sei sordo a queste esigenze, e in maniera condivisa sapremo esprimerne la risposta più convinta e degna del rispetto che si deve a chi ha preferito sacrificarsi alla mafia, più che rivelarle segreti d’ufficio
."

Antonio Di Pietro

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